Marco Di Cesare /www.close-up.it

Ci troviamo presso il Pio Sodalizio Piceni, per la presentazione de L’amorosa visione – Percorsi giovani di incontro e di abbandono: intervengono Daniele Segre (direttore artistico del progetto e regista), Carla Monachesi (Assessore per la formazione e il lavoro per la Provincia di Macerata) e Italo Tanoni (Direttore dell’I.R.R.E. delle Marche, ossia l’Istituto regionale di ricerca educativa).
Dopo le parole di introduzione dei tre, molto sentite e mai di circostanza, assistiamo al documentario, che si rivelerà come un vero saggio audiovisivo capace di restituirci una ricerca sull’umano; rimasti esterrefatti dal suo splendore, è quindi con ancora maggiore attenzione che ci apprestiamo a seguire la conferenza.

Per la prima volta possiamo assistere a un prodotto realizzato dai giovani per un pubblico più ampio. Vorrei porre una domanda sulla distribuzione: come pensate che il pubblico potrà percepire il vostro lavoro?

L’obiettivo finale era l’attività di formazione. Quello che conta non sono le intenzioni, ma i risultati: la buona volontà è inutile se non c’è la professionalità. è necessario un approccio simile per quanto riguarda la distribuzione: ossia l’instaurarsi di un rapporto reale col territorio, per fare in modo che anche generazioni diverse si possano confrontare sulla contemporaneità.
Poi l’auspicio è che L’amorosa visione possa percorrere strade ulteriori rispetto all’ambito scolastico come, ad esempio, i festival. Ma prima di tutto conta il territorio in cui è nato, quello di formazione ed educazione.

L’insistenza sul primo piano dà profondità e ricchezza al lavoro, ma non in modo consueto: spero che possa essere preso ad exemplum per tante altre realtà, non solo quella della scuola.

Molti miei film presentano il primo piano come stilema artistico.
Noi abbiamo usato il mezzo cinematografico – che è potentissimo – per aprire varchi sensibili, affinché i docenti si ricordino di essere tali: con questo documentario abbiamo visto giovani sbandati, lasciati senza maestri; invece, nella società, ognuno dovrebbe rammentarsi del proprio ruolo.
Si è trattato di un’esperienza forte: penso che ai giovani sia servito mettersi alla prova, anche se non è detto che poi, in futuro, per esprimersi, debbano utilizzare proprio questo mezzo di comunicazione e il primo piano.
Certamente questa esperienza si può riprodurre: basta costruire le condizioni di un vero rapporto col territorio.

Avete avuto sempre la stessa troupe, oppure persone diverse?
Sono, però, rimasto perplesso per l’omissione del percorso di selezione: avete rivolto a tutti le stesse domande?

Ho preso un gruppo allargato, poi ho effettuato un corso propedeutico con dei docenti. Dopo è stata stilata una classifica per merito, che ha portato alla scelta di sedici studenti. Ognuno di loro è stato individualmente posto davanti alla telecamera e intervistato da me: tutto per far capire la difficoltà a stare davanti alla mdp, quando si deve parlare degli affari propri. Certo sono interviste particolari: non sentiamo le domande, non vediamo l’intervistatore. Abbiamo montato le risposte per creare una storia e andare oltre il dettaglio. Attraverso le tecniche dell’intervista, che io definisco ‘narrativa’, si è cercato di superare le maschere generalmente indossate dall’intervistatore e dall’intervistato, che rappresentano sempre una barriera all’instaurarsi di un vero rapporto.
Abbiamo suddiviso i ragazzi in quattro troupe di quattro persone, seguite da dei tutor che si occupavano degli aspetti organizzativi e gestionali. I ragazzi hanno scelto le persone da intervistare, poi hanno selezionato il materiale. Io sono intervenuto dopo per selezionare ancora. Poi ho unito i gruppi di lavoro. Il risultato finale è frutto di un montaggio che è stato realizzato presso la Mediateca della Provincia di Macerata.

Devo dire come ne L’amorosa visione non si senta l’esperienza dei giovani protagonisti.

(A questa domanda risponde uno dei giovani realizzatori, ndr). Io penso che la nostra esperienza venga fuori dal prodotto: abbiamo trascorso sei mesi insieme. E tutti a turno ci siamo occupati di ogni aspetto del film: fotografia, suono, videocamera, interviste. Anche se non si è trattato di interviste, bensì di colloqui: vi sono anche delle pause e dei silenzi, che a volte sono più profondi di tante parole. Protagoniste sono persone tra loro diverse (studenti, dottorandi, disoccupati, operai), eppure esce fuori una linea narrativa; e si sente anche la nostra voce, per cui non vogliamo parlare di cinema oggettivo. Forse il pubblico abituato alla Tv potrebbe annoiarsi: comunque speriamo che col montaggio siamo riusciti a dare un giusto ritmo.